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La pietra dell’amore (Provenzano Salvani, Purgatorio XI. 109-114 e 121-123)
Ebbene si, anche io, come facevano i miei antenati, ho baciato la mia fidanzatina e poi mia moglie sopra la pietra dell’Amore. Parlare di questa pietra in travertino è come togliere il coperchio dal vaso di Pandora ed essere travolto da storie e leggende che la nostra cultura contemporanea ha lasciato solo a qualche appassionato. Perdonatemi io sono uno di questi, o meglio, sono uno che ha ascoltato i racconti paterni, e a forza di tessere raccolte qua e là, ha ricostruito una storia che stasera va a raccontarvi.
La nostra storia nasce e viene fino a noi grazie anche a Dante Alighieri che pone il nostro personaggio, grande ghibellino, acerrimo nemico di Firenze e quindi anche suo, non all’Inferno, ma addirittura in Purgatorio, lui che aveva guidato il grande scempio di fiorentini a Montaperti: il nostro personaggio è Provenzano Salvani, ricco e potente signore senese.
Dante lo pone nel girone dei superbi, in lui il poeta vede la superbia e l’orgoglio di Siena ghibellina, e negli anni fondamentali della sopravvivenza di Siena, tra il 1240 e il 1269, ricoprì importanti cariche fino a diventare dominus di Siena, carica onorifica al pari di altri illustri concittadini, non cercò mai di diventare dittatore ma occupò sempre cariche fondamentali per la guida della città.
Il poeta sa che lui, oltre che aver portato Siena alla vittoria di Montaperti, al congresso dei vincitori di Empoli chiederà a viva voce la distruzione di Firenze, tacitato a forza dai fuoriusciti fiorentini che accanto a lui avevano combattuto. La nostra storia nasce in questi anni in cui il partito ghibellino guidato dal biondo e bello Manfredi cerca di riunire politicamente la penisola, ma si imbatte nella rovinosa battaglia di Benevento, seguita a ruota dalla disfatta del giovane Corradino a Tagliacozzo, dove gli Angioini, in accordo con il partito guelfo e con il Papa, chiudono le speranze dell’impero e anche di Siena. Sappiamo dai documenti che con l’esercito imperiale molti cavalieri e genti senesi lo avevano seguito con entusiasmo fin dal giorno che, sereno e coperto di doni, aveva attraversato Siena per andare incontro al terribile destino, e fra questi si unì anche l’amico fraterno di Provenzano, compagno di tante battaglie, il buon Nino Pagliaresi.
Dopo la sconfitta, anche in città il partito guelfo riprende forza e qualche tumulto scoppia, ma il pensiero di Provenzano è tutto rivolto all’amico che, prigioniero giace in una terribile prigione di Napoli, nonché per l’urgente riscatto in oro e argento da trovare per salvargli la vita. I documenti non ci aiutano a sapere l’importo del riscatto, ma gli eruditi senesi del passato ci parlano di 10.000 (??) fiorini, cifra notevole che neanche un potente e ricco signore come Provenzano poteva spendere a cuor leggero ( un soldato guadagnava circa 5 fiorini d’oro in un anno, quindi sull’importo del riscatto ho qualche dubbio), non per niente allo scadere del tempo, il nobile signore abbandonò ogni indugio e in Piazza del Campo stese in terra, come un mendicante, il suo mantello e tese la mano alle elemosine dei suoi concittadini, al fine di salvare la vita all’amico. Sempre la leggenda ci racconta che, al raggiungimento della cifra necessaria contribuì un vecchio mendicante, che aveva la fama di mago, che rivelò la sua profezia : i due amici avrebbero visto il cielo, prima di lui, tenendosi per mano.
Il riscatto fu pagato e Nino Pagliaresi tornò a Siena, ma i venti contrari della guerra correvano ancora più forti, e subito dopo i guelfi senesi, fuoriusciti dalla città, occuparono la cittadina di Colle Val d’Elsa, costringendo la Repubblica senese a intervenire. I fatti sono noti, l’esiguo esercito senese, mutilato dalle lotte interne, con il solo aiuto di pochi cavalieri tedeschi e spagnoli, poiché le finanze cittadine non permettevano di più, va ad assediare la cittadina ribelle. Uscendo dalla città, al suono dei trombetti, la storia ci racconta che Provenzano, dall’alto del suo cavallo, intravede fra la folla il vecchio mendicante, volgendosi a lui gli chiede se il futuro gli sarà propizio, e senza indugio l’indovino gli annuncia che a tarda sera la sua testa svetterà sopra il campo di battaglia. Il luogo esatto dello scontro non ci è dato di sapere, ma gli scavi eseguiti all’inizio del secolo scorso ci informano che fu presso il lago di Sant’Antonio, a metà strada tra Colle Val d’Elsa e Monteriggioni, dove si affrontarono le truppe senesi con il rinnovato esercito fiorentino, sostenuto dalla potente cavalleria francese comandata da Guido di Monforte. Il finale lo sappiamo, l’esercito senese, inferiore di numero e preso alla sprovvista dalla possente cavalleria francese, viene disfatto e il nostro condottiero, Provenzano Salvani, combatte e muore, tenendo fino alla fine al suo fianco l’amico riscattato.
Di lui non si conserva una tomba : fu decapitato, la sua testa esposta su una lancia e gettata altre le mura di Siena, il corpo smembrato non doveva avere sepoltura nè un luogo dove i senesi raccogliessero la sua memoria. Ma sempre la storia ci dice che non fu così, sul luogo dove lui aveva steso la mano le generazioni future scolpirono una pietra, chiamata Pietra dell’Amore, e chiunque vi si fosse fermato sopra a baciarsi con la sua compagna, lo spirito e l’amore non lo avrebbe lasciato mai fino alla morte. I secoli passano e con la rivoluzione francese giungono in Siena le truppe Giacobine, e l’albero della Libertà non c’è posto migliore che metterlo lì al posto della Pietra dell’Amore.
Passano le guerre e la nostra pietra torna a farsi ricordare, forse sopra ora è più facile trovarci sdraiato qualche turista o, come avrebbe detto Provengano, un “forestiero” piuttosto che qualche innamorato senese, ma a lui sicuramente va bene così.
Colui che del cammin si poco piglia
Dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
e ora appena in Siena sen pispiglia,
ond’ era sire quando fu distrutta
la rabbia fiorentina, che superba
fu a quel tempo si com’ ora è putta.
“Quelli è”, rispose, “Provenzan Salvani”
ed è qui perché fu presuntuoso
a recar Siena tutta a le sue mani.
(Purg. XI. 109-114 e 121-123)
Vincenzo Castelli
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