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->Percorsi educativi con la Divina Commedia
-> Stili educativi che favoriscono stima e autostima
->Alla scoperta dei propri talenti
-> Corso di metodologia didattica
-> Convegno: "Sei tu che scrivi la tua vita..."
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CORSO DI FORMAZIONE PER INSEGNANTI
Educare è una parola che deriva dal latino educere, che significa “tirar fuori”, “sviluppare”, “portare a compimento”.
Parlare di educazione significa riferirsi a quell'azione pratica, per cui la generazione più adulta si adopera a favore di quella più giovane, per favorire lo sviluppo di tutti gli aspetti della personalità umana: fisici, intellettuali, affettivi, morali e spirituali.
Osserva E. Pestalozzi: << In ogni facoltà della natura umana è insito l'impulso ad elevarsi dallo stato di stasi e d'inazione, a quello di forza sviluppata, che fin tanto non è sviluppata è in noi come germe di forza e non propriamente come forza...L'occhio vuol vedere, l'orecchio vuol sentire, il piede vuol camminare, la mano vuol prendere. Ma anche il cuore vuole amare e credere, anche lo spirito vuol pensare...>>.
Compito dell'educatore è indirizzare sulla strada dell'autonomia; occorre insegnare ad un giovane a fare da sé, ad essere in grado di provvedere ai propri bisogni e ad inserirsi in modo attivo e creativo, all'interno del tessuto sociale.
Una persona può dare solo ed unicamente il suo essere, il suo vivere, le sue conquiste ed è proprio per questo che si può essere diseducatori, perchè soltanto nella misura in cui si è cresciuti dentro, si può contribuire alla maturazione e alla felice realizzazione di un educando.
Per educare bisogna essre cresciuti in amore e sapienza, perchè le giovani generazioni ci osservano leggendo, nella profondità del nostro sguardo, il senso e il valore attribuito alla vita.
Ogni atto educativo, può essere fecondo se vissuto nell'”INCONTRO”, ma “sterile e diseducativo se si realizza nel “DISINCONTRO”.
Qual'è il grande, vero, problema dell'adolescente? E' il tema dell'identità. Il tema dell'identità è ciò che caratterizza, in realtà, tutta la vita dell'uomo. L'identità significa: chi sono io? Che senso ha la mia vita? Che frutto darà la mia vita? Che ci sto a fare io su questa terra? Il senso dell'identità è anche come vivere la mia femminilità, la mia mascolinità, come vivere la mia identità di figlio, di figlia, di fratello, di sorella, di studente...Il tema dell'identità, è in realtà, il tema centrale dell'adolescenza.
La nostra società sta producendo un effetto strano: sta annullando le due categorie che servono a costruirsi un'identità: la dimensione del passato, la tradizione, dal latino “tradit”: ti tramando ciò che di più bello e di più importante ho acquisito, come dono per il tuo cammino. La parola tradizione vorrebbe dire trasmettere a un giovane un valore, un'esperienza che mi ha arricchito, che in qualche modo ha illuminatio il mio cammino. Ti dono questa tradizione, perchè ti do una sicurezza di fondo. Ti do le principali costellazioni di valori su cui ti puoi orientere e dare frutto con la tua vita. Insomma: il passato è come l'architettura della vita, sono i fondamenti. Poi come uno si arrederà, costruirà, utilizzerà questi fondamenti, sarà in base alla propria personale identità, dunque in base ai propri talenti, aspirazioni...Ma un'architettura di fondo è indispensabile.
Oggi i nostri giovani non hanno architettura, non hanno basi, non hanno solidità e dunque non sanno dove costruirsi, perchè per costruirsi bisogna ra-di-ca-rsi. Il radicamento, il mettere radici è ciò che permette di portare frutto. Quando noi diciamo che gli adolescenti sono inquieti, diciamo in realtà che sono senza radici, e non avendo radici, non possono diventare, oltretutto, creativi, flessibili. Perchè le due grandi sfide sono: trovare delle radici acquisendo sicurezza e diventare creativi, flessibili.
L'altra grande sfida che la vita ci pone è, infatti, l'elasticità, la creatività, perchè la vita cambia e se io rimango ancorato alle mie vecchie radici e non mi lascio innaffiare dalla novità che ogni giorno la vita mi offre, corro il rischio di diventare rigido e di non riuscire a tollerare i cambiamenti. Tutte le persone che hanno delle rigidità interne non riescono a respirare l'aria nuova che la vita dà. Il giovane ci interpella dicendo: Chi sono io? Il tema dell'identità è inevitabilmente legato al passato e al futuro...chi sono io? In termini di dare frutto? La nostra società purtroppo ha creato una fagocitazione delle nostre energie in un predente fine a se stesso.
Molti dei giovani di oggi, vivono la loro gioventù nei termini del presente, cioè della voglia del momento, della discoteca del momento, del programma televisivo del momento...si vive sulla base di quello che in quel momento viene offerto dall'esterno, perchè dentro non c'è conoscenza di me. Per conoscere se stessi, ognuno di noi, ma soprattutto un giovane, ha bisogno di rivelarsi ad un altro.
La conoscenza di sé passa attraverso la rivelazione di sé. Ecco la difficoltà di oggi! Siccome non creiamo più le condizioni perchè un ragazzo si apra, egli si conosce sempre di meno. Non entra in contatto con se stesso e per farlo ha bisogno che ci sia qualcuno dall'esterno che lo accolga. Ed ecco il grande problema, enorme, spaventoso, della povertà di comunicazione che c'è oggi nella nostra società. Non è vero che nella nostra società si comunica di più, è vero che si comunica di più a livello di informazioni, a livello di contenuti, di dati, di giornalismo, di eventi planetrari, ma si comunica molto meno sul fronte dell'intimità. La tecnologia da una parte ci facilita in mille modi, ci migliora la qualità della vita, ma dall'altra parte si rischia di non riuscire a stabilire mai una vera e propria intimità.
La sapienza pedagogica della Divina Commedia.
Nel Poema c'è un percorso educativo fondamentale, ed è quello che compie Dante, percorso nel quale convergono quelli di tante anime che incontra; e c'è un percorso che è chiamato a compiere il lettore da Dante stesso, da Dante narratore della sua vicenda, il quale propone il suo cammino esistenziale come “exemplum” da seguire. Il Poeta è e vuole essere un grande educatore; proprio per questo può essere di grande aiuto personalmente e nello svolgimento del nostro compito di insegnanti.
Certo, non è facile oggi leggere e insegnare le Divina Commedia, perchè le sue parole sono così cariche di realtà, di esperienza che possono essere equivocate, possono sfuggire nella loro pregnanza semantica. Questo vale per qualsiasi disciplina, ma se noi insegnanti ci lasciamo sfiorare dalle profondità della Bellezza di ciò che insegnamo, indipendentemente che si tratti di filosofia, italiano, economia, di eventi storici, di formule di matematica o di chimica, se ne siamo toccati, commossi, è inevitabile che qualcosa di tanta grandezza, di tanta bellezza si comunichi agli studenti.
Insegnare non è applicare delle tecniche; può essere anche questo, ma in primo luogo è comunicare, attraverso tutto, il proprio rapporto positivo con la realtà. La realtà, sia essa un testo poetico, una formula di chimica, un evento storico, la persona del ragazzo che si ha di fronte o il nostro stesso cuore, richiede da parte nostra un approccio positivo, costruttivo, commosso nel senso proprio del termine: solo così si sviluppa in colui che deve essere educato il senso della realtà come qualcosa che ultimamente è fatto per lui, come qualcosa su cui proiettere uno sguardo di speranza. Questo è particolarmente importante oggi, in tempi di pensiero debole, di cultura nichilistica, che si riflettono sui ragazzi come senso di vuoto, di incertezza, come di incapacità di impegno con la realtà, come tendenza a un giudizio negativo su tutto e su tutti.
Per questo il vero problema della scuola, al di là di tutte le riforme strutturali che si possono o si devono fare, al di là di tutte le tecniche di insegnamento che si possono o si devono usare, è quello di noi docenti, della nostra umanità, della nostra capacità di insegnare. Quello che insegno deve essere per me un'esperienza di umanità, di verità, di bellezza nel momento in cui l'insegno e di fronte alle persone a cui l'insegno; allora, come per osmosi, vibrerà anche l'umanità dei ragazzi, ovviamente in proporzione della loro apertura di cuore e di mente.
Educare è toccare una vita per sempre
Ripercorriamo, per sommi capi, la vicenda educativa di Dante. Per avere una prima chiave di comprensione del Poema occorre fare un'importante distinzione, sottolineata oggi da tutti i critici, fra Dante che scrive (L'”auctor”) e Dante personaggio, attore del viaggio (l'”agens”). Il grande educatore è l'auctor, Dante che descrive se stesso come attore di un percorso educativo. Per educare occorre avere una proposta educativa, l'ipotesi di un percorso che si basi su una precisa idea della realtà e dell'uomo in particolare. Il Poeta, giunto alla fine del suo viaggio, sa ormai che cosa è la realtà, che cosa è l'uomo perchè ha imparato, con l'aiuto delle sue guide a conoscere se stesso e il mondo. Virgilio, Beatrice, S. Bernardo gli hanno chiarito, con una saggezza fondata, a diversi livelli, su una tradizione millenaria di valori, la sua esperienza di uomo chiamato a vivere l'avventura della realtà nelle sue profondità ultime.
Vediamo come si svolge tale cammino per il Poeta. Il personaggio Dante compare “ex abrupto”, proprio all'inizio, come un uomo che si accorge (“mi ritrovai”) di essersi smarrito in una selva oscura ( la selva è metafora comune nel Medioevo, usata nel Convivio da Dante stesso per indicare la vita nel peccato, la foresta dell'errore in cui l'adolescente s'inoltra per inesperienza). Quel “mi ritrovai”, con cui fulmineamente il narratore passa dalla condizione universale (“il cammin di nostra vita”) a quella individuale, inaugurando peraltro la narrazione in prima persona nella letteratura romanza, dice un primo sussulto della coscienza.
Egli prova paura, angoscia, nella sua grande solitudine, perchè in quel lungo “sonno”, in quel periodo di dimenticanza ha smarrito “la verace via”, la via del bene; in altre parole ha perso, in primo luogo, il senso profondo di sé e non sa più vivere secondo la sua natura razionale. Dante ha bisogno di qualcuno che lo aiuti a ritrovarsi, che lo educhi alla esperienza della realtà. Ma non lo capisce subito; tanto è vero che tenta da solo di ritrovare la via verso la verità della vita (simboleggiata dal colle illuminato dal sole). Ma ecco che le tre fiere, chiaro simbolo del male, gli si parano davanti ed egli torna indietro a precipizio, impaurito verso la selva.
E quando gli compare innanzi una figura umana chiede aiuto. Questa è la prima serietà che ritrova Dante: riconoscere che non ce la fa da solo, nel “nel gran diserto” della sua vita, e che ha bisogno d'aiuto. L'ombra si presenta: è Virgilio, l'antico poeta venerato da Dante e dal Medioevo come cantore del “pius” Enea e dell'Impero e come profeta di Cristo. Virgilio gli propone di fare un altro viaggio: “altro” rispetto a quello che Dante immagina, che ogni uomo può progettare, che Ulisse ha tentato; “altro” perchè - come egli rivelerà nel canto II - è voluto da Dio e presuppone una guida; “altro” perchè nei tre regni dell'aldilà.
Dante d'impulso decide di seguire l'amato poeta e maestro; ma subito sopravviene in lui un dubbio: un viaggio così l'avevano compiuto S.Paolo ed Enea, uomini scelti da Dio per una missione grandiosa; ma per lui non sarebbe una follia intraprendere tale cammino? Vedendolo esitante, timoroso, Virgilio gli svela la congiura d'amore nei suoi confronti, in Cielo, di “tre donne benedette”, Maria, Lucia, Beatrice; e gli dice che Beatrice stessa è scesa nel Limbo a pregarlo di portargli aiuto.
Riaffiora in questo momento, nel poeta, la memoria dell'incontro determinante della sua vita, quello appunto con Beatrice, nel quale egli aveva fatto un'esperienza nuova, forte di sé, sentendosi amato da Dio attraverso di lei. Allora decide definitivamente di seguire Virgilio nell'arduo cammino. La grandezza di Dante, a questo punto della sua storia, sta nell'aderire al respiro di verità, di libertà di un incontro ormai lontano nel tempo, dimenticato, che ora gli viene discretamente riproposto. Egli ha il coraggio di anteporre questo incontro ad anni di pregiudizio, di errori; ed ecco che subito affiora una prima se pur confusa intuizione della vita come vocazione e come compito nel mondo.
L'incontro con Virgilio fa emergere subito l'aspetto più importante della vicenda: la salvezza giunge all'uomo dal di fuori, attraverso degli incontri. Non c'è traccia di autoeducazione nella Commedia: la verità della vità si fa attraverso l'incontro con un maestro che evoca al fascino della verità, che la testimonia esistenzialmente. Platone non sarebbe Platone se non avesse incontrato Socrate; gli apostoli non sarebbero gli apostoli se non avessero incontrato Gesù Cristo; Dante non sarebbe Dante se non avesse incontrato, in mezzo a tanti altri incontri importanti, ma non così determinanti per la sua vita, Beatrice. E con Beatrice anche Virgilio. L'autentica novità nella vita è portata da un avvenimento di cui si fa esperienza, da un avvenimento dovuto all'irrompere di presenze significative.
Dove c'è un problema c'è sempre una soluzione
Già in questa vicenda iniziale emerge la sapienza pedagogica di Dante. Il realismo cristiano e umano che caratterizza la sua mentalità, come quella dell'uomo medioevale, infonde la convinzione che l'uomo sia educabile fino alla morte. L'educazione non riguarda appena il bambino o l'adolescente, ma l'uomo di qualunque età. Dante ha 35 anni quando inizia questo cammino alla sequela di Virgilio (poi di Beatrice, infine di S.Bernardo).
Ci sono dei momenti in cui i giovani, gli adolescenti vanno in profonda crisi e ci sono dei momenti in cui fanno di tutto per portarci alla disperazione o alla rabbia. Davanti a un giovane difficile, i nostri atteggiamenti di adulti possono essere due: l'atteggiamento della rabbia, (non è possibile che ti comporti così..) o l'atteggiamento della rassegnazione, (le ho provate tutte ma non c'è niente da fare...). Uno dei momenti chiave che decide la vita di un giovane può essere proprio questo. Incoraggiare un giovane è, in sintesi, dare fiducia quando non vi sono risultati positivi. Vi sono dei giovani che fanno di tutto per apparire incapaci, ribelli, pigri e attirano così o la rabbia o lo sconforto degli adulti. Educare un giovane in difficoltà è risvegliare in lui la speranza di un possibile e concreto cambiamento della sua esistenza. La vera sfida non è tramettere dati e nozioni ma risvegliare nei giovani l'idea che studiare è bello; che è la cosa più bella e che la fortuna più grande che hanno rispetto alle generazioni passate, è che possono scegliersi un'identità, un futuro professionale che li realizzi pienamente.
Pregiudizi, convinzioni, rimproveri e ferite narcisistiche al loro io ci pongono nella condizione che la cosa più difficile non è insegnare loro un metodo di studio, ma creargli la motivazione, sbloccare l'energia, risvegliare la speranza che è possibile vivere con gioia, soddisfazione la loro esperienza scolastica.
Che cosa vuol dire allora incoraggiare? Incoraggiare è credere in loro quando nessuno ci crede. L'incoraggiamento oggi manca perchè, spesso, per noi adulti non è la priorità e ci lasciamo prendere dall'ansia di trasmettere tutto ciò che possiamo, dimenticando il significato profondo del termine educare (tirare fuori e non riempire...).
Incoraggiare allora vuol dire sentire che dove c'è un problema c'è sempre una soluzione, questo deve diventare sempre di più il cuore dell'educazione. Non è una cosa che bisogna capire, bisogna sentirla, perchè questo riempie di energia in termini costruttivi e non distruttivi. Perchè l'atteggiamento peggiore che l'educatore o il genitore può tenere è quello ansioso. L'ansia in realtà è la figlia della paura. Perchè i ragazzi sono in ansia per la maturità o per un'interrogazione? Perchè hanno paura. Perchè sono in ansia di incontrare qualcuno di nuovo? Perchè hanno paura di essere giudicati, di fare brutta figura. Dove c'è ansia c'è sempre una paura. Se io sapessi, che indipendentemente dal problema, c'è una soluzione, le mie energie non sarebbero più fagocitate dall'ansia, perchè l'ansia brucia energie vive che non sono più orientate verso la soluzione del problema. Infatti ogni genitore è decisamente un buon genitore per i figli di un'altra persona. Così vale per l'educatore. Ma se sono così bravo con i figli e gli studenti degli altri, purificandomi dall'ansia che condiziona negativamente i rapporti con i miei figli e i miei alunni, posso riuscirci anche con loro.
Maria, Lucia, Beatrice, Virgilio, S.Bernardo...una congiura d'amore
Un altro spunto pedagogico molto interessante che possiamo trarre dalla vicenda dantesca penso concerne la necessità di applicare un metodo educativo uniforme, sia fra docenti che fra corpo docente e famiglia, pur rispettando l'unicità delle modalità educative di ciascuno.
E' opportuno, al riguardo, precisare che l'educazione può essere occasionale o intenzionale. L'educazione occasionale è quella che non ha un progetto dietro. Allora ci possono essere molte situazioni in cui i giovani hanno un tipo di educazione, appunto, occasionale. Cosa vuol dire? Che in base alla persona che incontrano, alla compagnia che incontrano, alle risorse del territorio, al docente che incontrano, a quello che vivono, respirano l'atmosfera di un ambiente che però non ha dietro una chiara idea di che cosa significa diventare uomo o diventare donna. Ma bisogna avere una chiara idea di cosa vuol dire diventare adulti, per educare. E l'intenzionalità nasce dalla consapevolezza di un progetto.
E' quello che dovrebbero fare la famiglia e la scuola. Fin dalle materne, elementari, medie e superiori dovrebbero esserci i cosiddetti progetti formativi, non progetti soltanto informativi perchè dare un'informazione non è formare una persona. Dare una nozione tecnica, non vuol dire formare un uomo o una donna. In realtà l'educazione intenzionale è meno presente rispetto a quella occasionale, soprattutto oggi. C'è molto più individualismo a tutti i livelli, anche a livello educativo e c'è meno sintonia, tra adulti, nell'affermare determinati principi.
Le energie di tutti gli educatori di una scuola dovrebbero essere rivollte alla realizzazione del progetto comune di individuare una strategia educativa di ciascun allievo, stando bene attenti a formulare sempre e solo critiche costruttive e mai distruttive verso alunni e colleghi.
Sul lavoro ma soprattutto in una scuola siamo tutti collettivamente responsabili dell'ambiente, perchè le nostre parole influenzano quelli che ci circondano e il nostro discorso interiore influenza il nostro morale e i nostri risultati educativi.
Per l'adolescente, nel momento in cui vive all'interno di un ambiente dove c'è poca educazione intenzionale e vi è molta educazione occasionale, peggio ancora degli educatori che non si rispettano a vicenda e quindi difficilmente possono collaborare ad un progetto comune, aumenta il senso di smarrimento.
Non si educa se non dentro un rapporto affettivo.
Estremamente importante è comprendere, dal punto di vista che abbiamo scelto, il motivo della definitiva decisione, da parte di Dante, di seguire Virgilio, che tutti sappiamo essere simbolo della ragione.
L'uomo non si muove, non cammina, non costruisce se non a partire da una positività, da una certezza in cui riposa e da cui trae energia per affrontare la realtà. La prima certezza, quella assolutamente indispensabile, è la certezza del proprio “io”. Ma il senso di sé viene a coincidere con qualcosa a cui si appartiene: è pertanto la certezza affettiva, la certezza di essere voluto, amato, che permette all'uomo come al bambino di dire “io” con verità, di andare verso la realtà, di usare la ragione.
Virgilo offre a Dante questa certezza con la sua rivelazione; e Dante ritrova il senso di sé, la forza per intraprendere il cammino che gli è proposto, una prima capacità di usare e di seguire la ragione.
Si potrebbero fare altri esempi ricorrendo al poema dantesco, es. Purgatorio XXVII: Arrivato all'ultima cornice, quella dei lussuriosi, Dante deve passare attraverso una cortina di fuoco, altrimenti non può procedere. Sa che è giusto, ma non si muove, nonostante le esortazioni, gli incoraggiamenti di Virgilio: “E io pur fermo e contra coscienza”. Solo quando il maestro gli dice che di là lo aspetta Beatrice, egli si getta nelle fiamme. Virgilio comprende e lo consola nel dolore di quella purificazione: “Lo dolce padre mio, per confortarmi,/pur di Beatrice ragionando andava...” (vv. 52-53).
IL rapporto personale con l'allievo è indispensabile per svolgere efficacemente il mio ruolo educativo, ritengo che le attuali condizioni facilitano quessto rapporto? Eventuali ostacoli provengono dalle mie resistenze interne (tendenza al nozionismo, abitudine all'insegnamento, noia...) o da eventi esterni (classi troppo numerose, scarsa formazione...).
Dall'”umanar” al “transumanar”
niente è più incredibile della risposta
a una domanda che non si pone
R. Niebhur
Ma chi è veramente Beatrice per Dante? E che cosa significa che Virgilio è la ragione? Inoltre: perchè Beatrice non va direttamente a salvare il Poeta nella “selva oscura”, ma manda Virgilio? Per rispondere a queste domande rileggiamo gli ultimi canti del Purgatorio, centrali per la comprensione di tutta la vicenda di Dante.
Sulla cima della montagna del Purgatorio, nel Paradiso terrestre, si fa incontro al Poeta Beatrice in persona ed egli sperimenta la grande potenza dell'antico amore. Ma ella, sul carro che simboleggia la Chiesa, circondata dalle Virtù e dagli angeli, lo apostrofa duramente, rinfacciandogli i suoi peccati. Questi sono da lei così sintetizzati: “e volse i passi suoi per via non vera,/ imagini di ben seguendo false/ che nulla promission rendono intera” (Purg. XXX, 130-132).
Dante ha inseguito beni terreni in una prospettiva autonoma, come assolutizzandoli (è questo il grande tema del Purgatorio e, radicalizzato, dell'Inferno), e ha sperimentato che essi non rispondono, al pari degli idoli biblici, al desiderio profondo del cuore. Come papa Adriano V, steso a terra bocconi nella cornica degli avari, egli potrebbe dire: “Vidi che lì non s'acquetava il core” (Purg. XIX, 109).
Spezzando il legame con Beatrice, era avvenuta la separazione del cielo dalla terra nella vita di Dante e ciò aveva reso il suo sentimento religioso vago, astratto, aveva reso anche la sua vita meno vera, meno umana, meno razionale; e la realtà era diventata per lui paurosa come una selva oscura. Si era ottenebrata in lui l'intelligenza, cioè la capacità di percepire il reale tenendo conto di tutti i suoi fattori, e anche il cuore, in cui l'intelligenza ha il suo fondamento.
Dante deve ora essere aiutato a riprendere consapevolezza della realtà, cioè a ritrovere innanzi tutto la ragione. Ecco allora che il cielo gli manda Virgilio. Ma perchè proprio Virgilio? Il grande poeta, nella cui opera la coscienza precristiana ha raggiunto una apertura vertiginosa al mistero, per il Medioevo rappresentava il vertice assoluto dell'umanità e della razionalità antica. Inoltre, storicamente, fu certo un arilettura dell'Eneide che scosse fortemente Dante dal suo sonno, mostrandogli un eroe pagano più religioso, più umano, più razionale, nel cammino dell'esistenza, di lui che era cristiano. Dunque Virgilio poteva giustamente essere esaltato come maestro di umanità, di razionalità (ovviamente si tratta della ragione in senso premoderno, antico e cristiano, della ragione sottomessa all'esperienza, della ragione come apertura al mistero della realtà e non come misurazione della realtà).
Ma a questo punto occorre rifarsi le domande iniziali: perchè Virgilio è mandato a Dante prima di Beatrice? Perchè Beatrice stessa lo va a cercare nel limbo per inviarlo al suo “fedele” infedele?
Tocchiamo qui il nodo culturale ed educativo più interessante di tutto il Poema, su cui vale la pena di soffermarsi.
L'uomo è “sete”, come abbiamo visto, è “disio”, “impeto” verso qualcosa che lo compia; è un incompiuto che cerca il suo compimento. A questa ricerca umana Dante trova una risposta; ma per poter percepire la risposta come risposta bisogna che l'uomo senta se stesso, le urgenze della sua umanità, il grido del suo cuore. Dice il grande studioso americano R. Niebhur: “Niente è più incredibile della risposta a una domanda che non si pone”. E' il rinnegamento del cuore che rende indifferenti alla risposta, a qualsiasi risposta. Ecco perchè Beatrice non può andare subito da Dante: perchè il Poeta non ha ancora ritrovato l'orientamento naturale del cuore al bene, alla felicità, l'originaria tensione della ragione alla verità. Solo quando avrà ritrovato la posizione umana, l'atteggiamento razionale, potrà fare esperienza della fede come compimento delle urgenze della ragione e del cuore.
Virgilio guida Dante attraverso l'Inferno e il Purgatorio perchè gli deve insegnare a essere uomo, a comprendere tutta la dignità dell'umano e tutta la dignità della ragione, della ragione come coscienza del mistero della realtà. Che la realtà è più grande di noi, che deborda dalle nostre misure; che ogni cosa ha un punto di fuga verso un orizzonte inafferrabile, che è segno del mistero; infine che vale la pena vivere solo per il mistero; basta la ragione per comprenderlo, basta Virgilio, basta essere poeti, anche atei dichiarati o agnostici come Leopardi e Montale. Questa è appunto la lezione di Virgilio-ragione, che si risolve in un “umanar” perchè la razionalità è appunto il modo di vivere dell'uomo. Proprio perchè Virgilio è consapevole della dignità della ragione è anche umile. Egli attende un intervento superiore che gli porti soccorso là dove sperimenta la sua impotenza e sa di non poter capire fino a fondo il mistero della realtà, sa che è la fede l'occhio che penetra quel mistero e lo dichiara più volte: “Ed elli a me: “Quanto ragion qui vede,/ dir ti poss'io; da indi in là t'aspetta/ pur a Beatrice, ch'è opra di fede” (Purg. XVIII, 46-48); oppure: “E se la mia ragion non ti disfama/ vedrai Beatrice, ed ella pienamente/ ti torrà questa e ciascun'altra brama” (Purg. XV, 76-78); o ancora: “State contenti, umana gente al “quia”;/ che, se potuto aveste veder tutto,/ mestier non era partorir Maria” (Purg. III, 37-39).
Dunque Beatrice giunge quando Dante, divenuto ormai cosciente, attraverso l'insegnamento di Virgilio e i tanti incontri fatti, della sua attesa di uomo, può sperimentare che la fede risponde alle esigenze umane più di ogni altra ipotesi; anzi che potenzia vertiginosamente la ragione, la capacità affettiva, la libertà.
Betrice continua a credere nelle potenzialità di Dante anche quando lui aveva dimostrato di scegliere tutt'altra strada, anzi fa molto di più, continua a credere in lui e attende che lui faccia pienamente il suo percorso umano per poter realmente accogliere il messaggio da lei trasmesso. Significativo, al riguardo Par. XXI dove Bestrice sembra trattenere il proprio sorriso, perchè la potenza di quel sorriso avrebbe abbagliato completamente Dante.
Ritengo sia questo un messaggio pedagogico fondamentale, perchè non si può amare ed aiutare i nostri ragazzi umiliandoli, così come non si può gettare violentemente un secchio d'acqua in un cucchiaino e pensare che lo stesso possa o debba contenerla.
Tecnicamente parlando, nel momento in cui io vado a colmare un grande bisogno che c'è all'interno della persona, è come se io portassi dell'acqua in terra arida. Si prende dell'acqua e si mette in una terra dove ci sono dei semi che sono le nostre potenzialità, se innaffiamo ogni giorno e ne abbiamo cura giorno dopo giorno germoglia la vita e la gioia di vivere. Purtroppo noi siamo in una società piena di oggetti, che non ci danno la possibilità di vivere i sentimenti e le emozioni. Chi educa dovrebbe riuscire a mettresi dalla parte dell'altro, dalla parte opposta, quella concreta dell'unico essere che gli vive di fronte, che si trova assieme a lui nella situazione comune ed unica dell'educare, ma, contemporaneamente del venire educati. Il riuscire a mettersi dalla parte dell'altro, a livello di strategia educativa, si chiama empatia. L'empatia è sentire ciò che l'altro sente, è sentire che l'altro ha un determinato bisogno.
La grandezza, la persuasività di un metodo educativo efficace sta proprio nel fatto che esso si fonda sulla natura, non su principi e regole astratte: mi metto al suo posto...stare accanto a un giovane, vuol dire soprattutto mettersi in contatto empaticamente con ciò che lui sente; perciò quando io gli dico: “Io sento ciò che tu senti”, si rompono le catene dell'isolamento, le catene del disagio, è l'inizio di un nuovo percorso.
Mi sento di compiere pienamente la mia missione di educatore, essendo per i ragazzi prima che trasmettitore di notizie esempio da imitare per l'impegno e la passione con cui svolgo il mio lavoro e la cura che ho per ciacuno di loro?
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