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LEGGERE IL PROPRIO CUORE
La verità rappresenta l’ingrediente essenziale di ogni processo di crescita e di cambiamento. Ciò vale per i genitori come per i figli.
Non è possibile progredire nella propria maturazione personale a prescindere dall’incontro con se stessi e con la verità delle proprie dinamiche affettive. Tale consapevolezza, spesso dolorosa, è il presupposto
necessario per dare un senso e una direzione costruttiva al desiderio, ad esempio, di essere buoni genitori. È decisivo infatti percorrere la stretta via della realistica conoscenza di sé, individuando con esattezza i propri punti deboli e la proprie inconsistenze per poter diventare migliori. La buona volontà, e il sincero desiderio di essere genitori che compiono meno errori possibili con i figli, rimane improduttiva se non si percorre la strada della realistica conoscenza di sé.
Infatti, nei dipinti che raffigurano l’allegoria delle quattro virtù cardinali, la prudenza è facilmente distinguibile dalle altre perché ritratta nell’atto di osservare la propria immagine in uno specchio.
Essa è spesso omaggiata intellettualmente, quanto concretamente evitata, se richiede di scoprire i punti deboli del proprio carattere. Eppure non è possibile diventare più fermi e avere più polso con i figli, se prima non si conoscono le ragioni della propria propensione ad essere troppo arrendevoli. Non si può diventare più capaci di dire no, se dapprima non si percorrono le vie delle proprie emozioni, se non si leggono chiaramente le proprie paure sottili, se non si guardano in faccia i dubbi che rendono troppo accondiscendenti. Come potrebbe un genitore evitare di esagerare con le raccomandazioni, se non si rende conto di essere apprensivo? Come potrebbe concedere al figlio di correre qualche ragionevole rischio, se non si rende conto di essere affetto dal virus del perfezionismo? Solo attraverso il passaggio della stretta via della accettazione della propria imperfezione è possibile intuire i cambiamenti da attuare, per diventare un genitore migliore.
Nessun progresso e nessun miglioramento può essere stabile e reale senza la verità. Entrare in contatto con la parte più oscura e poco consapevole di noi, dare un nome alle emozioni, rispondere sinceramente
alla domanda «per quale vera ragione ho preso quella decisone, ho concesso o ho vietato?», rappresenta la strada per approdare ad una conoscenza realistica di sé.
La verità psicologica non è facile da scoprire né è agevole portarne il peso.
Una mamma può, ad esempio, interrogarsi su quale motivo la spinga ad essere eccessivamente disponibile nei confronti dei figli nelle poche ore in cui rimane con loro, a conclusione della sua giornata lavorativa. Si
rende vagamente conto che nella sua dedizione persiste una nota di eccessività, perché non riesce a dire ai figli: «Portate pazienza un attimo, fra poco sono da voi…», ma annulla se stessa, per essere illimitatamente disponibile nei loro confronti.
Questa mamma dice di sé: «Appena torno dal lavoro, sento di dovere una dedizione assoluta e incondizionata ai figli, quasi per compensare il torto che sento di aver fatto loro con la mia assenza durante il giorno». È dunque il senso di colpa il motore invisibile di tale eccessiva dedizione, che realizza uno stile solo parzialmente ispirato al bene dei figli. Il bisogno di riparare il danno emotivo che ella ritiene di avere loro inferto e l’idea che essi si sentano trascurati, la rende incapace di misura e le toglie la libertà di aiutare i figli ad accettare i ragionevoli limiti della sua disponibilità.
Rendersi conto di aver agito su ispirazione dei propri sensi di colpa per proteggere se stessa dal segreto dubbio di essere stata una madre trascurante, con la conseguente responsabilità degli eventuali insuccessi
dei figli, può essere poco piacevole, ma rappresentare la sua verità psicologica.
Ogni consapevolezza che attinga alla realtà ha infatti un inconfondibile sapore agrodolce: è dolorosa, poiché pone fine all’immagine idealizzata di sé, ma, allo stesso tempo, è sollevante, perché la verità apre una prospettiva, fa intravedere una via d’uscita, permette di intuire come amare i figli in modo più intenso libero e forte.
Anche i figli hanno bisogno di verità per crescere bene. Hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a «dire a sè stessi la verità», ad illuminare gli aspetti meno nobili delle proprie dinamiche affettive, a non avere paura
dei propri limiti, a scoprire e ad accettare le proprie eventuali responsabilità, quando le cose non vanno bene.
Per essere buoni genitori è dunque necessario imparare a leggere il proprio cuore, a pensare con chiarezza ciò che oscuramente si sente.
Estratto dal libro “ Né asino né re” San Paolo Editore , per gentile concessione
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